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Se i prati venivano usati per l’allevamento (se ne conosce
l’esistenza di molti nel riminese), anche gli acquitrini
ed i canali venivano sfruttati per la pesca.
La coltivazione della vite era già conosciuta ma non
come la intendiamo noi oggi, veniva per lo più fatta
in maniera distinta dai campi, spesso con una recinzione. Si
conosce l’esistenza di una vigna in Rimini presso Porta
San Gaudenzo.
A conclusione di questo rapido excursus va però detto
che non si deve mai pensare al medioevo come ad un periodo statico,
che si lasci facilmente dividere in categorie dai confini netti.
Esistevano realtà multiformi e l’immagine che ne
esce è quella di un territorio solo parzialmente messo
a coltura, in cui la presenza degli spazi incolti, acque e boschi,
era diffusa e capillare, sia pure in forme e modi diversi. I
terreni coltivati avevano talora l’aspetto di radure,
talora di isole, e si concentravano soprattutto nella fascia
di antico insediamento già segnata dalla colonizzazione
romana.
TARDO MEDIOEVO
Anche per il Tardo Medioevo vale lo stesso discorso, quello
cioè di una realtà multiforme che non si lascia
facilmente classificare, poiché se anche si elaborano
delle categorie, le eccezioni sono poi molteplici. Quello
che si deve cercare di comprendere, al di là dell’alimento
che poteva caratterizzare o meno una zona, era l’atteggiamento
mentale dell’uomo nei confronti del cibo e delle fonti
di produzione di esso. Solo così si può sperare
di avere un atteggiamento corretto nei confronti del cibo.
Un’ultima premessa riguarda il fatto che oltre alla
distinzione tra zone, il Tardo Medioevo si caratterizza per
una forte distinzione tra città e zone rurali: nelle
prime infatti tutta l’alimentazione dipendeva dal mercato,
mentre nelle seconde si traevano le fonti dell’alimentazione
dal luogo.
L’elemento fondamentale dell’alimentazione, che
si impone con prepotenza nel Tardo Medioevo, è il pane.
Il pane è il cibo principale, e la sua assenza è
associata alla carestia, mentre usualmente al pane si accompagna
il resto semplicemente come companatico.
Il consumo di pane e l’aumento della popolazione imposero
di sviluppare l’agricoltura in questo senso, con la
differenza che in città si mangiava pane a base di
frumento, e quindi più raffinato, mentre in campagna
era pane di segale, miglio, orzo e sorgo.
E questo pone in luce un’altra caratteristica di questo
periodo, e cioè la differenziazione che va sempre più
accentuandosi tra l’alimentazione delle classi alte
e quella delle classi più povere.
I ceti dominanti di estrazione cittadina tenevano a ribadire
tale distinzione, non perdendo Aoccasione per contrapporre
la rozzezza del vitto contadino alla raffinatezza del loro.
Pietro De Crescenzi, proprietario bolognese, dopo aver osservato
che il frumento è il cereale migliore per fabbricare
il pane, consiglia tuttavia a chi lavora sodo di mangiar pani
fatti con cereali meno fini, come il sorgo che va bene ai
porci, ai buoi , ai cavalli “e massimamente a’
foresi, che di continue fatiche s’esercitano”.
Generalmente poi il frumento viene trasformato in pane, mentre
i cereali minori vengono trasformati in polente, pappe, e
focacce che caratterizzano il mangiare contadino.
Le paste alimentari (maccaroni) erano conosciute, ma considerate
cibo di lusso e consumate soprattutto negli ambienti contadini.
Oltre ai cereali veniva fatto un grande consumo di legumi,
soprattutto sotto forma di zuppe. Il cereale più consumato
era comunque la fava.
Un ruolo importantissimo spetta anche alle castagne, soprattutto
nelle zone di alta collina e di montagna. Comunemente chiamato
“albero del pane” le castagne venivano ridotte
in farina e se ne ricavavano delle focacce.
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